La tradizione enogastronomica delle Terre Sicane è il frutto di un affascinante mix di biodiversità che gode di una natura prodigiosa e di una straordinaria tradizione culinaria retaggio delle diverse popolazioni che hanno abitato queste colline, nella Valle del Belìce.
A Menfi e in tutta la valle del Belìce il paesaggio si muove sulle onde dei vigneti che disegnano uno scenario campestre d’altri tempi, offrendo al visitatore la possibilità di un viaggio di scoperta di un territorio dove la cultura della vite e del vino è antica quasi quanto l’uomo. Nelle Terre Sicane si possono incontrare le esperienze produttive di grandi brand storici dell’isola ma anche quelle di giovani viticultori che, con dedizione e passione, hanno dato sostanza all’eccellenza enologica di questi territori e all’immagine del vino siciliano nel mondo. I vitigni sono quelli della tradizione: Inzolia, Grecanico, Catarratto, Grillo, Nero d’Avola, Perricone, ma anche gli internazionali come Chardonnay, Merlot e Cabernet Sauvignon. Accanto al vino c’è anche la tavola, con i prodotti di un’agricoltura ricca di sole, di sapori e profumi. Questo angolo di Sicilia è uno scrigno prezioso: ulivi, vigneti, campi di grano e di Fico d’India, carciofi, orti e frutteti e poi pascoli e boschi che dominano il degradare dei campi verso la costa. Questo paesaggio lo ritroviamo nel piatto con materie prime di vera eccellenza: dall’olio extra vergine di oliva ai formaggi di latte di pecora, dalla frutta ai prodotti dell’orto sino al pescato di un mare tra i più incontaminati e puliti del Mediterraneo.
La storia di Menfi
La Piazza Vittorio Emanuele III è il fulcro di Menfi, sin dalla sua fondazione da parte di Diego Aragona Tagliavia Pignatelli. Proprio in corrispondenza dell’ingresso del Palazzo Pignatelli si diparte la Via Garibaldi, un tempo strada principale del paese, che incrociando altre vie crea quella struttura toponomastica a scacchiera tipica del Seicento, con comparti molto ampi e corti interne. Parallela alla via Garibaldi, si trova la via della Vittoria, già via Popolo: un asse viario che si delineò ai primi dell’Ottocento, in conseguenza dello sviluppo demografico.
All’origine della sua attuale sistemazione sta il terremoto, che nel 1968 ha abbattuto i suoi edifici più rappresentativi: la Torre, che era stata eretta nel XIII secolo da Federico II, e la Chiesa Madre, costruita tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo. La ricostruzione di queste due testimonianze storiche ha dato nuova dignità alla piazza Vittorio Emanuele III, che conservava inoltre sul fondo l’antico Palazzo Comunale, e infine Palazzo Pignatelli (sec. XVII), fondato da Diego Aragona Tagliavia Pignatelli, principe di Castelvetrano e fondatore di Menfi nel 1638.
I nuovi interventi architettonici, entrambi opera dell’Architetto Vittorio Gregotti, evocano gli antichi edifici rispettandone gli ingombri volumetrici, e si articolano come strutture che se da un lato sono protettive dei reperti superstiti, e quindi capaci di valorizzarne la presenza senza sovrapposizione, dall’altro lato sono adatti alle attuali esigenze.
Nell’assolato panorama mediterraneo, l’ampiezza della piazza è diventato, quindi, il luogo in cui si prolunga nell’oggi l’antica tradizione delle civiltà che su queste terre si sono alternate, dai Fenici, ai Greci, agli Arabi, ai Normanni, disegnando un luogo di pace da cui si gode un panorama mozzafiato.
Il castello di Burgimilluso fu eretto nella zona di caccia del basso Belìce, laddove Federico II di Svevia, nel 1238, ordinò la costruzione di un abitato sul luogo dell’attuale Menfi. Sicuramente legato all’iniziativa di popolamento programmata dall’imperatore, il castello, con la sua mole austera, nacque per proteggere e controllare il nuovo centro abitato. D’altronde, nella descrizione dell’assedio del 1313, si delinea il carattere militare della torre che si dimostrò sufficientemente forte da resistere all’attacco degli Angioini, malgrado il numero esiguo di soldati della guarnigione.
La torre era costituita da due corpi quadrangolari addossati l’uno all’altro, con pianta a forma di ottagono irregolare, e si sviluppava su quattro piani collegati fra loro da una scala a chiocciola. L’interno era diviso in tre piani coperti a crociera al pianoterra e ad ombrello al primo piano. La terrazza si presentava con un coronamento a smerlature.
La torre è stato distrutta quasi totalmente dal terremoto del 1968, ed è stata ricostruita con un progetto dell’Architetto Vittorio Gregotti che ricalca la volumetria dell’originaria struttura. Al nuovo edificio si accede, da un doppio ingresso, tramite un grande portale che incorpora il frammento dell’antica struttura e conduce ai servizi comunali in essa ospitati. E’ stata poi realizzata una nuova scalinata a sviluppo spiraliforme che fa da cerniera spaziale tra la torre e l’adiacente Palazzo Pignatelli. Le murature esterne sono state realizzate utilizzando una pietra locale, il tufo, per riflettere l’attenzione che è stata giustamente tributata alle caratteristiche del territorio.
Il Palazzo Pignatelli, che domina la piazza principale, fu eretto nel 1638 per volere di Diego Aragona Tagliavia ed occupa l’area del Castello di Federico II di Svevia, che a sua volta era sorto sui resti di un più antico complesso edilizio risalente al precedente insediamento islamico.
La pianta del Palazzo si articola su due piani con dodici ambienti a volta. L’ingresso principale, sulla Piazza Vittorio Emanuele III, introduce attraverso un grande portone nell’ampio cortile interno, ricordando una struttura di tipo feudale. Dall’atrio si accede al piano superiore per mezzo di un’imponente scalinata marmorea, che attraverso il loggiato soprastante, conduce al piano nobile.
Alla fine del feudalesimo venne trasformato in sede del Municipio, poi della Pretura e infine in una scuola.
Recentemente è stata rinvenuta, appena sotto la pavimentazione del Palazzo, una necropoli risalente ad un periodo fra il 330 ed il 400 d.C.: sono state portate alla luce sedici sepolture a fossa rivestite e coperte da lastre di calcare. La brocca acroma rinvenuta nella tomba 18, l’unica sepoltura che presentava un corredo, è databile all’età bizantina e induce, pertanto, a ipotizzare un utilizzo anche più tardo della necropoli.
Le strutture di età medievale, si impostarono poi sulla necropoli: il complesso dei materiali rinvenuti, tra i quali si segnalano ciotole decorate a spirale, i frammenti di protomaiolica e quelli di produzione tunisina del tipo detto “cobalto e manganese”, appare databile ai decenni centrali del XIII secolo. È probabile che le strutture messe in luce si debbano interpretare in relazione all’insediamento di Burgimilluso, presso il quale, nel 1239, Federico II ordinò la costituzione di un centro abitato.
La prima costruzione della Chiesa Madre iniziò nel 1662 e fu terminata ai primi del 1700, con una pianta a tre navate e cinque arcate. Con il passare dei secoli essa fu arricchita da pregevoli opere d’arte, quali la statua lignea di “S. Antonio da Padova” opera del secolo XVII a cui la chiesa è dedicata, il gruppo scultoreo della “Vergine del Rosario tra i santi Caterina e Domenico” del sec. XVII, alcuni dipinti settecenteschi di frate Felice da Sambuca, sculture lignee di Bagnasco e un pregevole “Crocifisso” ligneo con croce rivestita a lamina d’argento, pregevole opera del sec. XVII. Tali opere sono a tutt’oggi conservate all’interno della Chiesa.
Il terremoto del 1968 distrusse in parte la Chiesa e un lungo processo di ricostruzione e restauro (1984-2006) ce l’ha riconsegnata nell’attuale versione.
La sua ricostruzione, su progetto dell’Architetto Vittorio Gregotti, ha previsto la rotazione dell’asse, ora ortogonale rispetto a quello originario, e l’elevazione di un ambiente a navata unica che ingloba i resti del precedente impianto settecentesco. L’altare, pertanto, è posto lateralmente all’ingresso su una pedana presbiterale longitudinale, che valorizza la presenza delle antiche arcate con le opere pittoriche e scultoree che compaiono tra le colonne, oggetto di un’attenta opera di restauro. Così nella chiesa si realizza l’incontro tra il nuovo e l’antico: la pulizia di linee del nuovo ne evidenzia il ruolo di architettura intesa a valorizzare ciò che era preesistente. All’ornato settecentesco scandito dal ritmo del colonnato, fanno riscontro superfici segnate da linee ortogonali, pareti traforate a carabottino sui lati dell’aula, un soffitto retto da leggere travature, le quattro poderose colonne, che sono disposte in pianta come imponenti cilindri di geometria pura. Questa commistione di stili appare inconsueta, ma in realtà attiva un dialogo fecondo fra antico e moderno, storia e contemporaneità, tradizione e futuro.
L’ingresso è stato mantenuto in asse con lo spazio aperto della piazza, su un’area leggermente rialzata rispetto alla piazza, per evidenziare il ruolo del sagrato.
La nuova chiesa ha un tetto praticabile, da cui si possono godere due panorami: marittimo, guardando oltre la piazza, e dell’interno, sull’altro fronte. Vi si arriva da diverse scale, una delle quali si inerpica dal vicolo che separa la chiesa dal Palazzo Municipale. Sui tre livelli di cui si compone l’edificio trovano posto anche una biblioteca, la canonica e le aule parrocchiali.
La Chiesa di San Giuseppe e la contiua chiesa di Gesù e Maria costituiscono l’unico complesso monumentale religioso del settecento del centro storico di Menfi che abbia resistito almeno al terremoto del 1968. La più antica delle due pare sia quella dedicata a Gesù e Maria, all’interno della quale si conservano pregevoli decorazioni in stucco ed una tela settecentesca, raffigurante Gesù e Maria, attribuita a Fra Felice da Sambuca.
La chiesa di San Giuseppe fu eretta nel 1715, con una facciata adornata da intarsi e paraste ripartita in tre ordini, di cui l’ultimo, non più esistente, accoglieva l’edicola con il simulacro del santo. L’interno è ad unica navata, con volta a botte lunettata, e conserva pregevoli opere d’arte: una statua settecentesca in legno policromato raffigurante Santa Lucia, attribuibile allo scultore Filippo Quattrocchi; una tela settecentesca raffigurante Sant’ Eligio; una piccola statua lignea settecentesca di autore ignoto raffigurante San Biagio e una grande pala d’altare con lo Sposalizio di Giuseppe realizzata sul finire del settecento.
Il Palazzo Ravidà è da considerarsi il più rappresentativo edificio neoclassico del territorio; esso fu realizzato in pietra arenaria, intorno all’ultimo quarto del XVIII secolo dalla famiglia Ravidà Ferrantelli come residenza estiva e fa da quinta scenografica ad una delle vie del centro storico di Menfi.
La sontuosa facciata, racchiusa in un cortile dalla pavimentazione musiva a ciottoli fluviali, è incentrata su un portico formato da quattro colonne sormontate da capitelli dorici, poste sopra un’ampia gradinata, e sostengono un’elegante trabeazione con alternanza di triglifi e metope. Sovrasta la trabeazione una torretta, con tre archi per lato interposti da paraste, coperta da un terrazzo delimitato da una balconata intervallata da pilastri.
L’interno del palazzo è un susseguirsi di splendide sale, originariamente pavimentate con pregevoli maioliche di Santo Stefano di Camastra, all’interno di alcune di esse è ancora possibile ammirare gli originali affreschi delle volte, con motivi floreali e zoomorfi, come da tradizione neoclassica.
La Chiesa del Collegio di Maria SS. Annunziata fu costruita ai primi dell’ottocento e dopo pochi anni ad essa fu affiancato il Collegio allo scopo di istruire le fanciulle di Menfi alle arti e ai mestieri.
La costruzione, sormontata dalla torre dell’orologio civico, è oggi ritornata all’antico splendore grazie a un’attenta opera di restauro. Al suo interno si conserva parte di una tela ottocentesca realizzata dal pittore saccense Giuseppe Sabella su modello di un dipinto del noto maestro Mariano Rossi.
Rimane purtroppo ancora diroccata la zona dell’edificio anticamente adibita a scuole (lato est dell’edificio).
La Chiesa del Purgatorio fu costruita tra il 1739 ed il 1769 dedicata a S. Antonio Abate, dal 1947 è dedicata alla Madonna della Consolazione, la cui statua lignea ottocentesca si conserva sull’altare maggiore. Essa è anche nota come Chiesa del Purgatorio, sia perché l’attuale via Cavour, dove sorge l’edificio, era nota come Strada del Purgatorio, sia per l’antico dipinto raffigurante le anime del Purgatorio che era prima posto alle spalle dell’altare e che oggi andato è perduto. Di notevole importanza artistica è un ciclo di dipinti del maestro contemporaneo Gianbecchina: la Natività, la Passione e la Resurrezione.
Il Palazzo Planeta è stato costruito dalla famiglia Bivona, ricca famiglia di proprietari terrieri menfitani nella seconda metà del 1700. Negli anni successivi l’edificio è oggetto di interventi di ampliamento, ma è alla fine dell’Ottocento che l’edificio assume la consistenza attuale, con la realizzazione del 1° piano (piano nobile).
Nel 1891 Francesca Bivona, figlia di Santi, sposò Giovanni Battista Planeta, Barone di Santa Cecilia, di antica famiglia sambucese trasferitasi a Palermo. Da quell’unione nacque Vito, che nel 1893 sposò Giuseppina Benso Ferreri dei Duchi della Verdura. I figli Francesca, Carolina, Girolamo, Anna Maria, Diego, Giovanni Battista e Maria Antonietta nel 1997 donarono il palazzo al Comune di Menfi.
Il palazzo che era rimasto danneggiato dal terremoto del 1968, è stato restaurato e restituito alla città dal comune di Menfi nel 2008. Oggi è sede dell’Enoteca della Strada del Vino delle Terre Sicane e di attività culturali votate alla promozione del vino e delle tipicità del territorio grazie all’iniziativa dell’Associzione Si.S.Te.Ma Vino, che dal 2013 è anche promotrice del progetto di promozione territoriale ScopriMenfi
La Chiesa dell’Addolorata fu ricostruita intorno al 1813 sul sito di una più antica chiesa. Essa conserva al suo interno una splendida pala d’altare raffigurante “il Compianto sul Cristo Morto” dipinta da Mariano Rossi nel secolo XVIII e un simulacro ligneo della “Vergine Addolorata”, opera ottocentesca dello scultore agrigentino Calogero Cardella.
Il terremoto del gennaio 1968 ha demolito la memoria architettonica di Menfi e di tutti i paesi della Valle del Belìce; forte è stato l’impulso della comunità nel volere ricostruire il paese, anche attraverso opere artistiche che fossero simbolo della rinascita culturale del territorio.
All’ingresso Nord di Menfi è stata realizzata la Porta del Sole, divenuto immediatamente emblema della nuova città. Esso è stato progettato dall’architetto Vincenzo Calandra “nell’idea di un’immagine aurorale che introduca lo sguardo all’interno della nuova Menfi”.
Il monumento si sviluppa su due dimensioni: in pianta e costituito da una “sfera” centrale e da un contorno di raggi, in alzato, invece, si estende su un muro con la parte superiore raggiata.
Il sesto, proporzionato, in maniera centrale rispetto alla “sfera” lascia una zona arcuata dal cui intradosso augelli spruzzano acqua trasformando il geniale simbolo della città in una spettacolare fontana.
La Chiesa dedicata alla Madonna del Soccorso, oggi non più esistente, venne edificata nel 1837 per cooperazione di molti fedeli. Essa era sorta all’estrema periferia settentrionale di Menfi, sull’attuale Via Boccaccio, dove pare esistesse un’antica edicola votiva dedicata alla Madonna del Soccorso, sede di un radicato culto popolare. La memoria di questa edicola, pervenuta tramite racconti, e di un’altra edicola votiva dedicata a S. Michele Arcangelo, posta sulla stessa antica trazzera, pare motivata dalla credenza dei devoti che questi Santi, con i loro segni (la mazza della Madonna che schiaccia demoni e la spada di S. Michele), potessero respingere le insidie del male fuori dal centro abitato.
Il terremoto del gennaio 1968 danneggiò gravemente la Chiesa, barbaramente abbattuta nel 1969.
La nuova costruzione, progettata dall’architetto menfitano Antonino Palmeri, con la caratteristica forma triangolare, simbolica espressione della SS. Trinità, è stata realizzata in cemento armato e parzialmente rivestita in tufo; essa culmina con una maestosa struttura che elevandosi trasforma il presbiterio della Chiesa in uno svettante tempio, dominante la nuova area urbana.
All’interno della Chiesa si conserva il pregevole simulacro ottocentesco della Madonna del Soccorso, proveniente dall’antica Chiesa. Nella zona del presbiterio si trova un grande pannello in ceramica, raffigurante scene della vita e della passione di Cristo, realizzato dal ceramista menfitano Antonino Di Giovanna.
I Giardini pergolati di Inycon sorgono nella zona del nuovo centro abitato di Menfi e rappresentano una sintesi tra la città storica e la città nuova da intendere come città da vivere stando in movimento.
Sono stati progettati per essere il luogo centrale per le esposizioni temporanee, le degustazioni e le proiezioni di spot pubblicitari sul tema del vino. Le forme dell’architettura sono dure ed essenziali, le superfici sono in beton brut, le finiture quasi inesistenti tranne per le mattonelle di azulejos.